Il canto diciannovesimo dell'Inferno di Dante in Hell in the Cave si piazza, più o meno, al centro dello spettacolo, sia fisicamente che temporalmente. Come fosse al centro, galleggiante, tra passato e presente. Nella Divina Commedia è una decisa invettiva contro i simoniaci, coloro per vendono per danaro le cose sacre e coloro che prostituiscono la propria coscienza.
I simoniaci sono coloro che si sono macchiati del peccato di simonia, ovvero coloro che hanno venduto assoluzioni, benedizioni, favori religiosi o anche cariche religiose in cambio di denaro. Nella Divina Commedia, così come in Hell in the Cave, si ritrovano a testa in giù, conficcati nelle buche. Niccolo III, papa Gaetano Orsini è diventa simbolo della simonia, a sua volta allegoria del malcostume, sempre esistito e in questi tempi, soprattutto in Italia tanto opprimente, della corruzione.
La corruzione, la vendita per denaro del bene comune, lo scambio pagato per ottenere assoluzioni, raccomandazioni, favori personali e istituzionali, è un cancro che divora la società. Dante dimostra lungimiranza: lo punisce con la legge del contrappasso, conficcando le anime prave come pali nella pietra infernale a testa in giù, con le piante dei piedi torturate dalle fiamme ardenti, destinate, all'arrivo dell'anima simoniaca del successore, a inserirsi, schiacciata e informe, nella pietra, nel buio e solitudine immense e perpetue dell'eternità infernale.
Il Canto (forse) più attuale: voi, del vostro tempo, chi piazzereste a testa in giù?